Sono particolarmente affezionato a San Biagio. Anzitutto perché il 3 febbraio è il mio compleanno, e quest'anno sono un po', ormai. In secondo luogo perché da linguista mi piacciono quei suoni mutevoli, che dicono dell'ibridazione con la fonetica locale, e che nella loro ostica pronunciabilità e ancora più allegra grafia rivelano quanto uguali eppur diversi si sia, di campanile in campanile: "Sant Bioues", con quel suono semivocalico uguale a "Gioebia" (la "Giubiana", detta anche "Gibiana", appunto), o "San Bias", con la "a" aperta che distingue ovunque noi milanesi col pedigree indiscusso. Soprattutto mi piace il 3 febbraio per quella nostra tradizione tutta milanese del panettone. Archiviamo la pratica di chi sia in realtà questo santo, tale Biagio, medico, vescovo e martire della città armena di Sebaste, decapitato nel IV sec.: l'elenco dei luoghi in cui sarebbero custodite le sue reliquie dice che S. Biagio non fu decapitato, ma è esploso, come mio figlio quando si cambia i vestiti in cameretta: una calza qua, un'altra là, un pezzo della lingua a Carosino, una costola a Galatina (di Biagio, non di mio figlio), i pantaloni sul letto, la maglietta sulla scrivania, un molare a Patti, l'avambraccio a Recanati. La storia del culto delle reliquie in epoca tardo antica e medievale è un misto di vanverismo archeologico e avventurismo aziendale, con palettate di ossa tirate su dalle catacombe e distribuite alle chiese nascenti perché il culto dei presunti santi servisse a implementare il business dei pellegrinaggi e delle indulgenze: frate Cipolla del "Decameron" insegna. Ma anche l'eziologia di San Biagio protettore della gola e soprattutto la tradizione del panettone hanno un che di boccacciano (ho detto "boccacciano", non "boccaccesco": mi raccomando!). Si narra che una massaia milanese portasse prima di Natale a un frate di nome Desiderio un panettone, per farglielo benedire. Il frate in altre faccende affaccendato le disse di lasciarglielo e di passare il giorno seguente. La massaia se ne dimenticò, poiché le massaie solitamente hanno davvero mille faccende che le occupano (quanto tempo ci vuole a fare nord-sud-ovest-est con la mano destra sopra un panettone?), ma frate Desiderio no, e un boccone dopo l'altro lo benedisse proprio per bene.
La donna se ne rammentò che era ormai il 3 di febbraio e si ripresentò dal frate, il quale, costernato ma pingue, fece per restituirle l'involucro vuoto. E fu lì che avvenne il miracolo, esattamente come nella novella di Frate Cipolla: se nella sesta giornata del "Decameron" furono i carboni del martirio di San Lorenzo a comparire al posto delle piume dell'Arcangelo Gabriele, il 3 di febbraio si materializzò un panettone grosso il doppio di quello che era andato a ingrassare la pancia del buon fratone. Il miracolo fu attribuito a San Biagio, e con esso la tradizione di consumare il 3 di ogni febbraio un panettone avanzato dal Natale, a protezione della gola e del naso. Perché il vescovo di Sebaste - quello esploso - era passato agli onori della cronaca per aver salvato il figlio di una povera donna del luogo cui si era conficcata in gola una lisca di pesce. Il buon uomo aveva fatto una piccola polpetta con la mollica di pane e aveva consigliato di masticare e ingerire quella, per smuovere la lisca. Roba che anche la mia nonna, con noi piccoli. Ma mia nonna non è esplosa. Anche se il panettone lei lo teneva davvero da parte, e al mio compleanno non mi faceva la torta: mi dava quella fetta, perché "San Bias benediss la gola e ‘l nas". Non credo fosse per tirchieria: ho sempre pensato fosse amore, dal Natale di Gesù al mio, di natale.
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