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"Avere qualcosa di importante da dire e che sia utile a tutti o a molti. 

Sapere a chi si scrive. Raccogliere tutto quello che serve. Trovare una logica su cui ordinarlo. Eliminare ogni parola che non serve. Non porsi limiti di tempo"

don lorenzo milani

Immagine del redattoreStefano Motta

LA FORZA DI MAMMA AGNESE

Ripercorro le copertine dei miei libri, ritorno con la memoria alle pagine che ho scritto e mi rendo conto di aver più volte cercato di penetrare il mistero insondabile della maternità. Ho reso giustizia alla volontà tenace e dolorosa delle madri dei desaparecidos argentini in Habeas corpus e ho ascoltato i fremiti della mamma di Lale. Ma è in un racconto breve che c’è la mia mamma più bella: si chiama Agnese. Sua figlia si chiama Lucia. Del padre non sappiamo nulla. Del loro futuro ne ha scritto un autore ben più grande di me. Io ho cercato di affacciarmi sul loro passato. Questa è una pagina di Latte, una specie di prequel dei Promessi Sposi, dicono quelli che parlano bene, un omaggio alla forza di Agnese, un pensiero a tutte le madri:



Seduta lì scostava la veste e dava il suo latte alla piccola. Il rumore scrosciante del Fiumelatte la distraeva ogni tanto. Allora lei le accarezzava la guancia con un dito, finché la boccuccia non si rituffava su quel nutrimento così tenero e miracoloso.

Non c’era giorno che uno sguardo, una mezza parola, un gesto non la ferissero con l’impressione di un giudizio seccato e moraleggiante. Capitava quando passava, cantando una nenia alla sua piccola in braccio, e le ante delle finestre si chiudevano con sdegnosa fretta, o che qualcuno si scostasse per lasciarle il passo lungo le viuzze dai muri alti con cortesia altrettanto sdegnosa. Mancava l’aria, e non era l’afa estiva: il loro futuro sarebbe stato lontano da qui, nelle terre là dove il lago diventa fiume, un fiume vero, non questa specie di fantasma bianco di latte. C’erano anche dei parenti più su, a Pasturo, ma il viaggio sarebbe stato troppo lungo. Un passo alla volta, si diceva Agnese.

Il borgo di Lecco, la principale di quelle terre, e che dà nome al territorio, giaceva poco discosto dal ponte, alla riva del lago, anzi veniva in parte a trovarsi nel lago stesso, quando questo ingrossa, ed era un borgo già considerabile e l’industria della lavorazione della seta era abbastanza fiorente. Agnese sapeva tessere e filare: non avrebbe faticato a trovare un impiego là, si diceva.

Un mattino di fine estate salì sul baroccio che faceva la spola dalla valle di Esino fino alla grande città nella pianura, per trasportare i blocchi di ghiaccio, e partì.

Chi domandasse se non ci fu anche del dolore in distaccarsi dal paese nativo, da quelle montagne, dal lago, ce ne fu sicuro; ché del dolore ce n’è, sto per dire, un po’ per tutto. Ma i momenti amari vissuti in quello a cui voltavano le spalle tornavano sovente nelle notti di Agnese, rese insonni più che dai pianti della piccola, proprio dalle memorie tristi che, alla lunga, guastan sempre nella mente i luoghi che le richiamano. E se que’ luoghi son quelli, dove siam nati, c’è forse in tali memorie qualcosa di più aspro e pungente.

Anche il bambino riposa volentieri sul seno della madre, cerca con avidità e con fiducia la poppa che l’ha dolcemente alimentato fino allora; ma se la madre, per divezzarlo, la bagna d’assenzio, il bambino ritira la bocca, poi torna a provare, ma finalmente se ne stacca; piangendo sì, ma se ne stacca.

«Si va, cara la mia Lucia», le disse infagottandosela al petto. Ché aveva voluto chiamarla così, quella creatura nata dal buio, perché nessuna tenebra le potesse fare più del male.


Latte è uno dei due racconti di Latte e Ghiaccio (Edizioni del Faro, Trento 2020, pagg. 128, Euro 12,00 https://www.edizionidelfaro.it/libro/latte-e-ghiaccio)

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